lunedì 23 giugno 2014

La villa sul Lago - 1 - L'arrivo

Quando Roberto vide il cancello della villa rimase basito: nonostante tutti gli aneddoti che il conte gli avesse raccontato non si aspettava un edificio di tali dimensioni. 
La lunga passeggiata che dovette affrontare, bagaglio alla mano, trovò finalmente il suo traguardo. Un enorme cancello in ferro battuto abilmente lavorato lo separava da quell'enorme casa che il conte gli aveva concesso gratuitamente per un periodo illimitato. 
Il conte si vantava spesso delle sue ville, sopratutto di questa, una delle più grandi che possedeva, di fronte al bellissimo lago. Quando Roberto venne a sapere che la villa era costantemente disabitata si fece sfuggire, a mo' di battuta: - "Potresti lasciarmela per una vacanza!". Mai si sarebbe aspettato che il conte, dopo pochi secondi di silenzio, gli avrebbe risposto: - "Certo, volentieri, ci sono oltre dieci domestici che la tengono costantemente pulita, almeno avrebbe un senso il loro stipendio!".
Il conte, ormai anziano, limitava gli spostamenti al minimo necessario e le sue ville sparse per il mondo erano sempre disabitate ma, per un suo vezzo, sempre pronte all'uso, pulite e in ordine grazie al diligente lavoro di un gruppo di domestici. 
Roberto fece conoscenza col primo di questi, poco dopo esser arrivato al cancello: il giardiniere Peter, che arrivò a passo svelto verso di lui per farlo entrare. Il suo aspetto ricordava quello di un tipico taglialegna scandinavo, possente di corporatura, una folta barba marrone e dei capelli lunghi tirati indietro, sempre più radi e stempiati. Probabilmente sorpreso durante il controllo di una delle siepi che delimitava il terreno della villa, Peter fu il primo ad allertarsi al suono del campanello. I membri della servitù da anni lavoravano per la villa senza aver mai avuto un ospite: avevano quindi perso ogni convenzione e regola: il loro compito era tenere curata la villa.
Per questo motivo quando fu loro comunicato che avrebbero dovuto ricevere un ospite del conte rimasero perplessi. Avevano il dubbio che il conte li stesse mettendo alla prova tramite un loro emissario; non erano convinti di un atto di tale generosità per uno sconosciuto.
Roberto conosceva il conte da tanto tempo, la loro non si poteva definire una vera e propria amicizia ma, sotto certi punti di vista, poteva essere addirittura qualcosa di più.
Peter aprì il cancello e, dopo un veloce saluto che ricordava più un colpo di tosse seguito da un goffo inchino, prese il trolley di Roberto e lo condusse verso il portone principale della villa.
Roberto, durante il tragitto, si accorse che sulla porta si erano radunate alcune persone: avvicinandosi intuì che due di essi dovevano essere qualcosa di simile ad un maggiordomo e una governante.
Arrivato ai piedi di una breve scalinata che conduceva al portone notò che i due individui si somigliavano parecchio, entrambi alti, magri, anziani con occhi grigio azzurri.
- "Buongiorno signore, io sono Victor e lei è mia sorella Elvire. Il conte ci ha informati del suo arrivo: abbiamo preparato una delle stanze per gli ospiti, spero non le dispiaccia. Ci segua."
Roberto notò di sfuggita l'ampio ingresso e, dopo una larga rampa di scale e un breve tratto di corridoio, si ritrovò di fronte alla sua stanza. Un letto a due piazze, ben più grande rispetto ad uno normale, troneggiava al centro della stanza. Nella parete laterale era posizionato un armadio che avrebbe potuto contenere molto più del suo misero bagaglio. Gli occhi di Roberto furono però attratti da una piccola scrivania posta subito sotto una delle due finestre, di fronte alla porta.
Da lì sarebbe iniziato il suo nuovo libro.


venerdì 6 giugno 2014

Amicizia - Parte 2 (lettera ad un vecchio amico)

Carissimo, quanto tempo?! 
Eccoci qua. Dopo anni di SMS, chat, telefonate e incontri fugaci ora possiamo dedicarci un po' più di tempo. Sì, perché alla fine a fotterci è sempre lui, il tempo! Anche quando ci si incontra, non possiamo più prenderci quel tempo che nel passato poteva essere un intero pomeriggio a parlar del nulla o del più grande dei problemi, senza orologi a ricordarci altri impegni.
Giornate che, come sogni, nascevano, si evolvevano e potevano non morire mai, fin quando qualcuno non veniva a svegliarci da quel momento ludico e goliardico che spesso ci mandava in overdose di risate.
Ci ritroviamo qui, io a scriverti, tu a leggermi, dedicandoci uno spicchio di tempo un po' più ampio, un po' più intimo. Perché quel tempo passato insieme, che ci ha permesso di costruire i mattoni su cui abbiamo poggiato tutta la nostra maturità, non è stato speso invano e ognuno di noi ha influito sull'altro. 
Perché il poter confrontarci su tutto ha fatto sì che i nostri neuroni rimassero sempre in allenamento, pronti a fronteggiare un ragionamento dietro l'altro senza paura, come un culturista pronto a sollevare bilancieri di ogni peso.
Tutto ciò sicuramente ci manca un po', diventa sempre più raro e difficile. Lavoro, famiglia, decine di impegni ed imprevisti di ogni tipo non ci danno tregua.
Anche quando si riesce a trovare il tempo per due chiacchiere e una birra, si arriva col fiatone, quasi se quell'incontro fosse un "filler" fra l'impegno precedente e quello successivo: pronti a scattare al primo SMS, pronti a volatizzarsi alla prima telefonata. 

Eppure ogni singolo incontro, anche di pochi minuti, ci permette di costruire e modellare quello che siamo agli occhi degli altri, i nostri centomila "noi". Scegliamo di mostrare a ogni occasione un pezzo di puzzle che rappresenta qualcosa di noi, bello o brutto che sia. Non importa che quel pezzo sia monocolore o psichedelico, non importa se quel piccolo spicchio mostri qualcosa di già visto, perché alla fine noi per gli altri saremo sempre un puzzle di ricordi, di momenti.
Sarà la memoria di ognuno di noi a unire i pezzi di puzzle che le persone ci offrono ad ogni incontro e definire nella nostra testa ciò che sono. Anche se spesso questi puzzle sono incompleti o ambigui, ci permettono di mostrarci ed essere centomila persone diverse.
Per questo a te, mio caro amico, ho provato a mostrare tutto il mio essere, tutta la mia gamma di colori, tutti i pezzi del mio puzzle, per darti un'immagine più vicina possibile a quello che sono realmente.
Non mi interessa se l'ultimo collega arrivato o il più distratto dei miei conoscenti vede un'immagine confusa, minima e, spesso, completamente diversa da ciò che è la realtà. Sono ben conscio di mostrare a molti tante versioni di me, ma con te ho sempre provato a fare uno sforzo: mostrare me stesso.
Per questo, nonostante il rammarico di non poterti dedicare tutto il tempo di cui avremmo bisogno, mi accontento di mostrarti un altro piccolo frammento di puzzle.